Quando sulla mia scrivania arriva una tematica legata alle sperimentazioni cliniche essa ha ovviamente, sempre, una sfaccettatura giuridica: è normale, questa è la mia competenza.
Ma in questi vent'anni di professione, dedicati in gran parte a questo settore, ho potuto chiaramente rendermi conto di un altro dato che io reputo estremamente significativo: quando mi viene richiesto un parere su una questione relativa alla sperimentazione, nella stragrande maggioranza dei casi, è il coordinatore di ricerca clinica (o study coordinator) che ha colto che la questione che mi si sottopone non vada trascurata.
Dirò una cosa che sembra banale, ma che banale non è per nulla: per evitare i problemi bisogna, prima di tutto, avere la consapevolezza che essi sono dei problemi.
Il colpo d'occhio, analitico ma nello stesso tempo d'insieme, che il coordinatore di ricerca clinica ha sulla sperimentazione e che gli deriva dall'essere un professionista con delle competenze multidisciplinari maturate anche grazie all'esperienza sul campo (provengono molto spesso da una formazione scientifica ma, con ottima cognizione di causa, si occupano - soprattutto nelle realtà più piccole, dove è richiesta molta flessibilità - anche della contrattualistica e dei profili assicurativi) gli permette di avere sulla sperimentazione medesima, rispetto agli altri stakeholder, uno sguardo “lungo” ed un approccio “a tutto tondo”.
E così accade che sia quasi sempre un coordinatore di ricerca clinica a chiedermi cosa ne penso di quella clausola nell'assicurazione che lui (o dovrei dire, forse più correttamente, lei, perché nella maggior parte dei casi, i coordinatori di ricerca clinica sono donne) ha già “annusato” essere non adeguata, oppure come valuto quella clausola che nella bozza di contratto disciplina la fornitura del farmaco e che con perspicacia lo study coordinator ha già “fiutato” essere foriera di futuri problemi ed allora scendo in campo io, limando, smussando o sostituendo le clausole imputate, ma io intervengo perché un coordinatore di ricerca clinica ha colto che c'era un problema.
Li incontro spesso nei corsi di formazione, anche quando la formazione è prettamente giuridica, come quella che svolgo io, loro che molto spesso hanno, come già detto, un background scientifico: anche sotto il profilo normativo la loro professione impone notevoli competenze.
Spaziano dai campioni biologici alla polizza assicurativa, dalle problematiche relative all'arruolamento nei centri a quelle legate alla contrattualistica, tengono i rapporti tra Azienda Farmaceutica ed Ente per cui lavorano, predispongono il budget dello studio, supportano i principal investigator, preparano la documentazione necessaria per avviare la sperimentazione, si interfacciano con i Comitati Etici, si occupano di consenso informato e della gestione del farmaco, in periodo di pandemia organizzano il monitoraggio da remoto sopperendo, con la loro buona volontà, a tante carenze strutturali, gestiscono poi, ovviamente, la raccolta del dato generato dalla sperimentazione (da qui il nome, anche, di data manager) ed hanno una caratteristica che tanto apprezzo: sono incessantemente problem solver.
Dimenticavo … il tempo stringe, sempre: il coordinating investigator desidera che lo studio inizi presto, i pazienti hanno una nuova chance terapeutica, l'Azienda Farmaceutica è disponibile a fornire il farmaco: in poche parole, occorre fare in fretta.
E a tirare le fila di tutto, in modo tempestivo, sono sempre loro, i coordinatori di ricerca clinica.
“Figura di raccordo” li definisce la determina AIFA del 19 giugno 2015.
E penso che sì, sono proprio una figura di raccordo, avendo ben a mente che essere una figura di raccordo in uno studio clinico vuol dire sapersi muovere con agilità, abilità, destrezza e competenza (e perché no, anche con un pizzico di fantasia) in molti campi, tutti altamente specialistici.
Non è compito facile.
L'art. 1, comma 2, lettera h), punto 4 della legge dell'11 gennaio 2018 n. 3 (la cosiddetta Legge Lorenzin) prevede che la sperimentazione clinica dei medicinali si avvalga di professionalità specifiche nel campo della gestione dei dati e del coordinamento della ricerca.
Eppure, ad oggi, manca un riconoscimento professionale, così come manca una forma contrattuale che consenta la valorizzazione del ruolo del coordinatore di ricerca clinica.
Ci vorrà ancora molto tempo per dare collocazione e giusto risalto a questa imprescindibile figura?