Sperimentazioni cliniche in Italia: l'inadeguatezza dell'assicurazione, una spada di Damocle sull'Autorizzazione all'Immissione in Commercio (AIC)
Quanta attenzione prestiamo all'art. 5 del decreto ministeriale del 14 luglio 2009?
Quanto riflettiamo sugli effetti che questo articolo, posto, quasi in sordina, in coda al decreto ministeriale, potrebbe provocare?
Eppure quest'articolo ha, davvero, una portata dirompente (gli effetti a cascata, in termini di responsabilità, che potrebbero ripercuotersi sugli stakeholder in funzione dei vari rapporti, anche contrattuali, esistenti all'interno della sperimentazione clinica meriterebbero, ciascuno, una singola e minuziosa disamina).
Per ora limitiamoci, però, alla lettura di esso “i risultati delle sperimentazioni condotte in difformità ai requisiti minimi di cui al presente decreto, non sono presi in considerazione ai fini della valutazione della domanda di autorizzazione all’immissione in commercio”.
Dalla lettura della norma comprendiamo che i promotori di sperimentazioni cliniche farmacologiche profit, subiranno, in caso di polizza non ben costruita, oltre un'eventuale perdita economica (dovranno risarcire, infatti, “di tasca propria” eventuali danni), un'altra pesantissima conseguenza: i risultati della sperimentazione non verranno presi in considerazione ai fini della valutazione della domanda di autorizzazione all'immissione in commercio.
“Non ti concedo l'autorizzazione all'immissione in commercio a fronte di una polizza che non rispetta i requisiti minimi” parrebbe quasi sussurrarci, insomma, il legislatore.
Cosa ci svela questa pesante “punizione”?
Ci svela l'importanza che il sistema giuridico ha dato – e vuole che si dia – ai profili assicurativi al fine di accordare, giustamente, la massima tutela, anche lato polizza, al paziente arruolato in uno studio clinico.